Vishnu, divinità indiana che nell’antica religione vedica aveva caratteri cosmici e solari; nell’induismo ha assunto maggiore importanza. Costituisce insieme a Brahma e Shiva la trimurti, o triade indiana; in essa Vishnu rappresenta il principio conservatore: egli, per mezzo di una sua incarnazione (avatar), interviene ogni volta che l’ordine universale è minacciato.
Viṣhṇu è una divinità maschile vedica. I seguaci, detti vaishnava, considerano Vishnu quale suprema divinità, il principio animatore e conservatore degli essere viventi, a cui tutti gli altri Deva (esseri celesti) sono sottomessi.
Si tratta di una tradizione prevalentemente monoteista, basata principalmente sulle Upanisad, sui Veda e sui Purana quali la Bhagavad Gita, i Padma Vishnu e il Bhagavat Purana. Vishnu è venerato soprattutto sotto forma delle sue principali incarnazioni, o avatara, tra le quali la più popolare è KRISNA, disceso secondo la tradizione a Mathura, in India Vishnu è spesso raffigurato come sdraiato su una Shenanga – la spirale, con molte teste di serpente che galleggia sulle acque cosmiche che rappresenta la pace nell’Universo.
Questa posa simboleggia la calma e la pazienza di fronte alla paura e le preoccupazioni che il serpente velenoso rappresenta. Il messaggio qui è che non si deve lasciare che la paura ti assoggetti e disturbi la tua pace.
Il veicolo di Vishnu è l’aquila Garuda, il re degli uccelli. L’Aquila con la sua vista acutissima è la rapidità per diffondere la conoscenza dei Veda, Garuda è una garanzia di coraggio al momento delle calamità.
I suoi emblemi sono il loto, la clava, il disco e la conchiglia; la sua sposa, o Śakti, è Lakṣmī, dea della fortuna, prosperità e bellezza. Insieme a Brahmā e Śiva, Vishnu rappresenta, nell’evoluzione dell’esistenza (nascita, durata, fine), il principio conservatore.
La conchiglia, in sanscrito Śaṅkha, si tratta di un esemplare di Turbinella pyrum che (come tutti i suoi altri emblemi) Viṣhṇu acquisì in condizioni particolari e che porta il nome di Pāñcajanya. La conchiglia, la cui dimensione simbolica è estremamente ricca e complessa, è considerata a tutti gli effetti un’arma da guerra, il cui suono produce terrore nei nemici, e come tale venne in effetti usata da Kṛṣṇa (avatāra di Viṣṇu) nella guerra finale tra i Kaurava ed i Pāṇḍava, nella quale si colloca la Bhagavadgīta. Altri emblemi sono la mazza da guerra, in sanscrito Gadā, che porta il nome di Koumodakī e quindi il fiore di loto (Padma), che al contrario degli altri non è considerato un arma ma che ha anch’esso, come la conchiglia, una complessa profondità simbolica.
L’ordine nel quale questi quattro elementi principali sono disposti nelle mani del dio è di estrema importanza nell’esatta definizione del suo particolare aspetto e significato. In aggiunta a questi quattro emblemi vi è anche la spada (Kaḍgha in sanscrito) di nome Nandaka e l’arco (in Sk. Bāṇa), che porta il nome di Śārṅga. Alcuni di questi oggetti tenuti in mano dalle divinità possono poi essere personificati a loro volta in ALTRE divinità, ognuna con caratteristiche ed iconografia proprie, rappresentate come maschili o femminili ed eventualmente in compagnia di consorti.
Il Mantra Om Shanti significa pace nella mente, nella parola e nel corpo; credo che se tutti potessimo essere davvero in pace e portare la pace nelle nostra vite, la nostra energia potrebbe viaggiare così anche verso gli altri, senza parole, diventando contagiosa. Cantare o recitare OM SHANTI esprime la volontà di rapportarsi con Visknu, il Signore della pace e della pazienza, nei momenti di tensione salmodiare questo mantra aiuta a ritrovare la serenità e la tranquillità che la parola stessa rappresenta PACE.
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Luciana Mologni